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Libero a febbraio per fine pena uno dei Cinque cubani

Stati uniti. Ancora all’ergastolo nelle prigioni Usa tre agenti condannati ingiustamente

«Cari amici, que­sto dicem­bre si com­piono 12 anni da quando una giu­dice della Corte di Miami ci ha impo­sto quelle bru­tali e ingiu­ste sen­tenze».

Comin­cia così il mes­sag­gio di Anto­nio Guer­rero, inviato dal car­cere que­sto Natale. Tony è uno dei cin­que agenti cubani, arre­stati negli Stati uniti nel set­tem­bre del 1998 e poi con­dan­nati all’ergastolo o a pene pesanti. Con lui sono andati in car­cere anche Fer­nando e René Gon­za­lez, Ramon Labañino e Gerardo Her­nan­dez. I Cin­que erano arri­vati a Miami, in Flo­rida, qual­che anno prima. Il loro com­pito era quello di pre­ve­nire altri atten­tati mor­tali (oltre 3.500 le vit­time cau­sate) da parte dei mer­ce­nari anti­ca­stri­sti forag­giati dalla Cia. Nono­stante i con­tatti tra intel­li­gence, messi in moto da Fidel Castro con gli Stati uniti, a cadere in trap­pola non sono stati i soci di Posada Car­ri­les, ma gli agenti cubani.
Con una sequela di pro­cessi viziati dal clima poli­tico evi­den­te­mente sfa­vo­re­vole, e nono­stante nes­sun capo d’imputazione a loro carico si rife­risse ad atti vio­lenti, ai cin­que furono com­mi­nate in primo grado con­danne pesan­tis­sime (erga­stolo a tre di loro) per cospi­ra­zione e spio­nag­gio. Una sen­tenza revo­cata nell’agosto del 2005 dalla Corte d’appello fede­rale di Atlanta, che ha rico­no­sciuto omis­sioni e pre­giu­dizi nei con­fronti degli impu­tati. Nes­sun pro­cesso ha però dato giu­sti­zia ai «cin­que eroi», come ven­gono chia­mati da allora a Cuba e dagli atti­vi­sti che con­ti­nuano a soste­nerli a livello inter­na­zio­nale. Arti­sti, scrit­tori, premi Nobel, hanno com­prato una intera pagina del New York Times per far cono­scere il caso.

Diverse grandi cam­pa­gne hanno ricor­dato a Obama, anche di recente, l’ingiusta deten­zione dei pri­gio­nieri cubani nelle car­ceri Usa. A con­clu­sione del lungo e con­tro­verso iter giu­ri­dico, la loro libertà è infatti nelle mani del pre­si­dente degli Stati uniti, che ha piena facoltà di con­ce­dere l’indulto. Nean­che per quest’anno, però, si è avuto un segnale in que­sta dire­zione: «Pre­si­dent Obama,Yes You Can!Free The Cuban Five», dicono cen­ti­naia di volti noti (pre­va­len­te­mente sta­tu­ni­tensi) sul sito www.vitadura.it

Intanto, men­tre si attende per marzo e aprile il lavoro di una Com­mis­sione inter­na­zio­nale sui 5, avvo­cati e giu­ri­sti spe­rano di avere una rispo­sta posi­tiva al ricorso pre­sen­tato in merito a una pesante irre­go­la­rità com­messa durante il pro­cesso di primo grado: in pra­tica, il paga­mento diretto o indi­retto, da parte delle agen­zie gover­na­tive Usa, di cifre stra­to­sfe­ri­che ai gior­na­li­sti di Miami per­ché dif­fa­mas­sero i Cin­que e creas­sero un clima nega­tivo tra la popo­la­zione e la giu­ria. Non c’è, però, una legge che imponga di rispon­dere entro un deter­mi­nato lasso di tempo.

Nel frat­tempo, Fer­nando Gon­za­lez ha finito di scon­tare la con­danna e uscirà dal car­cere a feb­braio. La spe­ranza è che possa ritor­nare pre­sto nel suo paese e non debba tra­scor­rere nel peri­colo un altro periodo di for­zata per­ma­nenza a Miami. Era andata così per Rene Gon­za­lez, uscito dal car­cere di Marianna, in Flo­rida, nel 2011 e rima­sto poi in libertà vigi­lata per diversi mesi prima di tor­nare in patria. «Mi ricordo quando sono arri­vato al peni­ten­zia­rio di Flo­rence, nel crudo freddo inver­nale di quel feb­braio del 2002. Un cimi­tero di morti viventi. Da allora, nes­suno ha rice­vuto così tante let­tere da ogni lati­tu­dine. Per­ciò dico con le parole di José Marti: Un prin­ci­pio giu­sto dal fondo di una cella può di più di un esercito».

Geraldina Colotti, 2.1.2014 ilmanifesto

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