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L’Alba fronteggia gli Stati uniti

Venezuela. La diplomazia di pace dell’America latina si mobilita contro il decreto Obama

—  Geraldina Colotti, 19.3.2015 il manifesto

L’Alleanza boli­va­riana per i popoli della Nostra Ame­rica (Alba) ha respinto com­patta le san­zioni degli Usa con­tro il Vene­zuela. Il docu­mento finale, pro­dotto dal ver­tice straor­di­na­rio che si è tenuto a Cara­cas, ha espli­ci­tato le ragioni del soste­gno al governo di Nico­las Maduro, defi­nito da Obama «una minac­cia straor­di­na­ria alla sicu­rezza degli Stati uniti». L’Alba chiede agli Usa di «aste­nersi» dall’intervenire negli affari interni degli altri paesi, e invita Obama a rian­no­dare il dia­logo. Per que­sto, pro­pone un «gruppo di faci­li­ta­tori del nostro emi­sfero e delle sue isti­tu­zioni (Celac, Una­sur, Alba-Tcp e Cari­com) per alle­viare le ten­sioni e garan­tire una riso­lu­zione ami­che­vole». Un gruppo subito ope­ra­tivo, coor­di­nato dal mini­stro degli Esteri ecua­do­riano Ricardo Patiño. I pre­si­denti dell’Alba (Cuba, Vene­zuela, Ecua­dor, Boli­via, Nica­ra­gua, Domi­nica, Gra­nada, San Cri­sto­bal e Nie­ves, Saint Vin­cent e Gre­na­dine, Anti­gua e Bar­buda, Suri­name e Santa Lucia) riba­di­scono il loro fermo appog­gio al Vene­zuela boli­va­riano «che non costi­tui­sce una minac­cia per nes­sun paese, ma è una nazione soli­dale che ha dimo­strato la sua volontà di coo­pe­ra­zione con i popoli e i governi di tutta la regione, e rap­pre­senta una garan­zia per la pace sociale e la sta­bi­lità del nostro con­ti­nente».

L’Alba denun­cia anche la «feroce cam­pa­gna media­tica inter­na­zio­nale» tesa a scre­di­tare la rivo­lu­zione boli­va­riana, con l’obiettivo di «creare le con­di­zioni per un inter­vento sem­pre più mar­cato e lon­tano dalla solu­zione paci­fica dei contenziosi».

Una cam­pa­gna che si inse­ri­sce nel più gene­rale attacco dei poteri forti con­tro l’intero campo pro­gres­si­sta del Lati­noa­me­rica, per cui il blocco regio­nale esprime il pro­prio appog­gio anche al Bra­sile di Dilma Rous­seff e all’Argentina di Cri­stina Kirch­ner. «l’America latina e i Caraibi — dice il docu­mento — sono Zona di pace, uno spa­zio in cui le nazioni pro­muo­vono pro­cessi di inte­gra­zione e rela­zioni di ami­ci­zia, con l’obbiettivo di per­se­guire ulte­rior­mente la mas­sima feli­cità pos­si­bile dei nostri popoli» come auspi­cato dal Liber­ta­dor Simon Boli­var. L’Alba chiama per­ciò alla mobi­li­ta­zione «i movi­menti sociali, ope­rai, stu­denti, con­ta­dini, indi­geni, donne» affin­ché spie­ghino «al mondo e ai popoli della Nostra Ame­rica che il Vene­zuela e il governo legit­ti­ma­mente eletto del pre­si­dente Nico­las Maduro non sono soli e che una nuova aggres­sione impe­riale avrebbe con­se­guenze nefa­ste per la sta­bi­lità della regione».

Gli Stati uniti — ha affer­mato in quella sede il pre­si­dente cubano Raul Castro — «devono capire che è impos­si­bile sedurre o com­prare Cuba o inti­mi­dire il Vene­zuela. La nostra unità è indi­strut­ti­bile». E suo fra­tello Fidel ha inviato per l’occasione una seconda let­tera a Maduro, lodan­done il corag­gio per aver impo­sto a sua volta san­zioni ai fun­zio­nari Usa in base all’effetto di reci­pro­cità.

Uno sco­glio non da poco nei nego­ziati in corso tra l’Avana e Washing­ton in vista di un pos­si­bile «disgelo». Una que­stione aperta sul pros­simo ver­tice delle Ame­ri­che, che si terrà a Panama il 10 aprile. E men­tre molti intel­let­tuali e movi­menti invi­tano i paesi pro­gres­si­sti a diser­tarlo, il campo legato agli Stati uniti vor­rebbe espun­gere la que­stione dal sum­mit, men­tre la diplo­ma­zia dell’Alba e degli altri bloc­chi regio­nali soli­dali col Vene­zuela spinge per far rien­trare il decreto Obama. Un altro segnale di dia­logo, potrebbe pro­ve­nire dall’elezione dell’uruguayano Luis Alma­gro (Frente Amplio) alla dire­zione dell’Organizzazione degli stati ame­ri­cani (Osa).

Appa­ren­te­mente, le san­zioni sono rivolte a un gruppo di fun­zio­nari che avreb­bero «vio­lato i diritti umani dell’opposizione». I media della destra vene­zue­lana hanno però for­nito un lungo elenco già prima che arri­vas­sero le san­zioni e pro­spet­tato un dise­gno ben più ampio, fino all’intervento armato.

Alcune clau­sole con­te­nute nel dispo­si­tivo potreb­bero aprire la porta a un blocco eco­no­mico che mira alle atti­vità delle raf­fi­ne­rie vene­zue­lane Cigto in Nor­da­me­rica. In modo diretto o indi­retto, si potrebbe com­pli­care o impe­dire anche l’invio di far­maci e ali­menti. Diversi opi­nio­ni­sti, tra i quali Igna­cio Ramo­net, temono uno spo­sta­mento del fal­li­men­tare blocco Usa con­tro Cuba sul Venezuela.

Ieri, nel paese, è comin­ciata la rac­colta di firme «Obama ritira subito il decreto», che si pro­pone di rag­giun­gere 10 milioni di ade­sioni. Una peti­zione ana­loga cir­cola già su change​.org e per oggi è pre­vi­sto un twitt mon­diale di soli­da­rietà. In Vene­zuela, tutte le cate­go­rie sociali hanno rispo­sto all’appello dell’Alba, a comin­ciare dagli ope­rai del set­tore petro­li­fero. E mani­fe­sta­zioni per chie­dere a Obama il ritiro del decreto si stanno svol­gendo in diversi con­ti­nenti. Anche in Siria cen­ti­naia di mani­fe­stanti hanno sfi­lato per soste­nere il governo boli­va­riano e, negli Stati uniti, il Bronx — i cui poveri si scal­dano con il com­bu­sti­bile ero­gato gra­tui­ta­mente dal Vene­zuela attra­verso Cigto — è tor­nato a innal­zare i car­telli pro Maduro.

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