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CUBA - C'era il timore della sconfitta...

...per colpa della «complicità dell'imperialismo»

È un sospiro di sollievo

Congratulazioni di Raúl Castro per «la storica vittoria» nelle «elezioni più combattute»

Non solo Raúl Castro e il suo governo, ma anche molta parte della popolazione cubana tirano un sospiro di sollievo. Hugo Chávez è stato rieletto presidente del Venezuela ed è stata evitata la «catastrofe politico-economica» che, come aveva vaticinato un economista della dissidenza, avrebbe comportato per Cuba la sconfitta del grande alleato, leader del principale partner di Cuba. Sono circa 40.000 i cubani - medici e tecnici sanitari soprattutto, ma anche maestri e allenatori sportivi - impegnati nelle popolari misiones in Venezuela. All'isola apportano un contributo finanziario, tra i cinque e i sei miliardi di dollari all'anno, che supera i redditi derivati da turismo, esportazione di tabacco e nikel, rimesse dei cubani all'estero, tutti messi insieme. Questi servizi vengono pagati da Caracas soprattutto con forniture di petrolio, ma alcuni esperti affermano che la vendita di servizi è giunta a un tale livello che il Venezuela starebbe pagando a Cuba anche un extra in valuta per riequilibrare i conti.

Per questa ragione nelle scorse settimane l'attenzione dei mass-media cubani è stata concentrata nel processo elettorale venezuelano: per la prima volta, infatti, la vittoria di Chávez non era scontata. Per la verità, il quotidiani del partito comunista, Granma e soprattutto Juventud rebelde, hanno continuato a dipingere la campagna di Chávez come una marcia trionfale. Ma negli attacchi rivolti all'avversario del presidente venezuelano si intravvedeva il timore che - con la «complicità dell'imperialismo» - la situazione precipitasse al peggio.

Anche a Cuba sono stati accesi i mori per il processo elettorale che inizierà - il primo turno - il 21 ottobre e che porterà alla nomina dei candidati ai vari livelli del «socialismo assembleare» cubano: dalle Assemblee municipali del Poder popular a quella nazionale (parlamento) alla presidenza del Consiglio di ministri (capo di Stato). Ma ora gli occhi di politici, giornalisti, intellettuali e anche di molti cubani erano (e sono) puntati su altri due processi elettorali, in Venezuela e negli Stati Uniti. Ben pochi, infatti, nell'isola dubitano che la grande maggioranza dei futuri eletti a livello locale e nazionale siano membri del Partito comunista di Cuba e che Raúl Castro sia di nuovo nominato presidente.

«Le elezioni in Cuba non suscitano grande interesse (nella popolazione,ndr)- ci diceva Enrique López Oliva, studioso di religioni e giornalista indipendente - quelle negli Stati Uniti e in Venezuela sì, perché negli Usa la vittoria del candidato repubblicano porterebbe - oltre pesanti conseguenze nelle relazioni tra i due paesi- a una riduzione delle rimesse dei cubano-americani. E se avesse perso Chavez si sarebbe fermato il flusso di petrolio dal Venezuela, con un conseguente collasso dell'economia cubana». Per quanto riguarda gli Usa, le rimesse sono circa 1,2 miliardi di dollari, meno di un quarto di quello che producono in Venezuela i cooperanti cubani, ma si tratta di un denaro che ha grande importanza sociale, perché va direttamente nelle tasche della popolazione.

Per questa ragione, ieri, i due quotidiani, radio e tv riportavano il caloroso messaggio di congratulazioni del presidente Raúl al compañero Chávez per «la storica vittoria» nelle «elezioni più combattute della storia del Venezuela». Una vittoria che «dimostra la forza della Rivoluzione bolivariana...Il tuo decisivo successo assicura la continuità della lotta a favore della genuina integrazione dilla nostra America».

Agli occhi del presidente cubano, e soprattutto del fratello Fidel Castro, più delle forniture petrolifere interessa il grande processo politico che mira a integrare il subcontinente latinoamericano sulle basi di sovranità nazionale (e non dipendenza dagli Usa) e di un programma sociale e politico alternativo al neoliberismo. Si tratta, appunto, dei bolivariani Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, con una sorta di padrinaggio di Cuba, impegnati a creare il «socialismo del XXI secolo», basato su un concetto di «democrazia partecipativa» (ispirato appunto all'esperienza cubana) che però non prevede lo smantellamento delle strutture di carattere democratico (in senso occidentale) come partiti, elezioni e un buon margine di libertà di espressione. Al di là della questione di ideologia o linea politica, sta cominciando a funzionare un mercato comune bolivariano (mediato da una nuova moneta il sucre) che interagisce col Mercosur (guidato dal Brasile) e che preoccupa fortemente gli Stati Uniti.

La riforma del socialismo cubano, obiettivo del presidente Raúl e di una parte del pc cubano, per proseguire ha bisogno - dal punto di vista economico e politico - della sponda bolivariana (e più in generale dei riformatori latinoamericani, la presidente brasiliana Dilma Roussef in primis) come pure della vittoria di Obama, il quale, senza la preoccupazione di essere rieletto, potrebbe proseguire nella via di un sostanziale allentamento dell'embargo e favorire un dialogo tra l'isola e i cubano-americani. Ecco perché ora, gli occhi sono puntati su Washington.

Da: il manifesto 2012.10.09 - Roberto Livi

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