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Fallisce anche il sesto vertice delle Americhe

Senza nemmeno un documento finale
Cuba, Falkland-Malvine, depenalizzazione di (alcune) droghe. I tre temi più spinosi sul tavolo del sesto Vertice delle Americhe di sabato e domenica a Cartagena de Indias, in Colombia,

hanno sancito il fallimento del summit e la riprova della sua inutilità. Per la terza volta consecutiva, dopo Mar del Plata-2005 e Port of Spain (Trinidad)-2009, l'incontro si è chiuso senza uno straccio di dichiarazione finale, per mancanza di consenso. La Cumbre de las Américas, un' «idea» di George Bush padre, fu ripresa e lanciata per la prima volta dal democratico Bill Clinton, nel '94 a Miami, con l'obiettivo di arrivare rapidamente all'Alca, l'accordo di libero commercio delle Americhe, una sorta di estensione continentale - «dall'Alaska alla Terra del fuoco» - del Nafta fra Usa-Canada-Messico. Ma l'America latina stava cambiando e l'Alca non vide mai la luce. Dal 2005 riposa sul fondo di Mar del Plata, sede del quarto Vertice delle Americhe, fra vivaci contestazioni del presidente George Bush figlio.
Questi Summit of the Americas non hanno più alcun senso, se non quello di servire da vetrina per i presidenti tutti in fila per la foto di gruppo finale
Quello di Cartagena doveva servire a maggior gloria dell'anfitrione, il presidente Juan Manuel Santos, a cui il settimanale Time ha dedicato la sua ultima copertina, impegnatissimo a far dimenticare il suo passato di ministro della difesa di Uribe e di smarcarsi dal suo (ex) padrino - efficace nei risultati ma un po' imbarazzante nei metodi -, e di fare della Colombia, dopo gli anni neri e nerissimi, una nuova «success story» sul piano politico ed economico (resta il paese che ha il record mondiale di sindacalisti assassinati, ma nessuno è perfetto) e una «player» regionale di primo livello.
In realtà il fiasco è stato totale. Alla fine Santos si è provato a negare il fallimento, attribuendolo alla regola che richiede («sfortunatamente») l'unanimità e sostenendo che certi temi spinosi - l'ammissione di Cuba, la presa di posizione (se non altro in nome della vecchia dottrina Monroe) in favore dell'Argentina nel conflitto diplomatico con l'Inghilterra sulle Malvine, la possibile depenalizzazione della droga visti gli effetti, fallimentari e devastanti, della narco-guerra - «per la prima volta» sono stati discussi alla luce del sole.
Discussi e rimandati al mittente o quasi. Ha detto Santos che il summit ha mostrato «la necessità del dialogo e del dialogo fra uguali». Ma c'è sempre qualcuno più uguale degli altri e sono bastati tre no di Obama (e della sua appendice canadese Harper) - che non vuole Cuba perché «ancora non si è mossa verso la democrazia» ma non ha alcun problema ad accettare il golpista Honduras -, per mandare i tre capitoli in cavalleria, alla prossima.
Alla prossima, però, fissata a Panama nel 2015, si rischia di ritrovarsi sempre di meno. A Cartagena mancavano l'ecuadoriano Correa e il nicaraguense Ortega (protesta per l'ostracismo a Cuba), il venezuelano Chavez e l'haitiano Martelly («ragioni di salute»), il peruviano Humala e l'argentina Cristina se ne sono andati via prima della fine. Se a Panama non ci sarà Cuba, il boliviano Morales ha confermato che i paesi dell'Alba non ci saranno, idem Brasile e Argentina.

Maurizio Matteuzzi - il manifesto 2012.04.17

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