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Cuba-Usa un altro passo verso la fine dell’embargo

Tra le decisioni, il permesso di operare nel territorio americano da parte delle linee aeree cubane

«È un nuovo passo avanti…che contribuirà a debilitare la struttura che regge il bloqueo (embargo) Usa».

Nel commento del quotidiano del partito comunista, Gramna, si manifesta la soddisfazione del governo cubano nei confronti delle nuove misure adottate da Washington e che sono entrate in vigore mercoledì. In sostanza, il terzo «pacchetto» di interventi decisi dall’Amministrazione di Obama dal 17 dicembre 2014 prevede l’eliminazione delle restrizioni poste al pagamento e al finanziamento dell’esportazione a Cuba di prodotti non agricoli (quest’ultimi continueranno ad essere pagati dall’Avana cash e in anticipo), il permesso di operare nel territorio Usa di linee aeree cubane, e espande le autorizzazioni per cittadini statunitensi a viaggiare a Cuba.

Il portavoce della Casa bianca, Ned Price, commentando le nuove misure, ha chiesto senza mezzi termini al governo cubano di operare per «rendere più facile ai propri cittadini di fare affari, partecipare al commercio e accedere a Internet». Pressioni queste ignorate da Granma, il quale invece insiste nella linea più volte espressa dal vertice politico-governativo, ovvero che il presidente Obama ha prerogative presidenziali «che non ha ancora utilizzato» per «svuotare» il complesso di leggi che formano l’embargo e che possono essere cancellate solo dal Congresso e non dalla Casa bianca.

Riconoscimento statale

E mette in risalto come il nuovo pacchetto rappresenti «un riconoscimento (limitato) dell’impresa statale come attore commerciale». Dunque viene implicitamente ribadito che il processo di avanzamento nelle relazioni bilaterali con gli Stati uniti, auspicato dall’Avana, non comporta cambiamenti nella scelta di un’economia socialista, se non nell’ambito delle riforme varate quattro anni fa per «modernizzare» il «socialismo cubano» e renderlo «prospero e sostenibile».

La prudenza con la quale vengono accolte le nuove aperture di Obama riflettono i timori espressi sia da esponenti del vertice che dalla base del partito comunista che la nuova politica della Casa bianca non implichi la fine della politica di ingerenza e di governement changing.

Lo ha ribadito la settimana scorsa il ministro del turismo Manuel Marrero, il quale ha messo in chiaro che si sta trattando su possibili investimenti nordamericani che «rappresenteranno un fattore positivo perché potranno generare una maggiore competitività ed eleveranno la qualità del prodotto turistico» cubano. Ma con un’avvertenza ben precisa: «Gli americani entreranno (a Cuba), però ballando la nostra musica…Noi porremo le regole».

Cuba attraversa infatti un momento assai delicato. Le riforme – «modernizzazione» nel linguaggio del governo — del sistema economico decise dal sesto congresso del Pc nel 2011 e che hanno introdotto elementi di economia di mercato nel sistema economico statale e socialista cubano, hanno prodotto una crescita visibile – almeno nella capitale– dell’economia. Ma non per tutti, e non al ritmo che una serie di economisti – specie legati alla Chiesa cattolica, alleata del governo — auspicano.

La crescita in controcorrente

Lo scorso fine di dicembre il ministro dell’economia Marino Murillo, illustrando la situazione economica del paese di fronte all’Assemblea popolare (parlamento), ha informato che nel 2015 vi è stata una crescita del Pil del 4%, del tutto in controcorrente rispetto a un’America latina che ha registrato una leggera contrazione del Pil.

Murillo ha anche annunciato la previsione di una crescita attorno al 2% per il 2016, anno che si presenta difficile per il subcontinente. Salvo che a metà gennaio, in occasione del plenum del Comitato centrale si è dovuto constatare, così riferisce Granma, che solo il 21% delle 323 riforme previste quattro anni fa è stata fino ad oggi attuata e, soprattutto, che la crescita «non ha avuto ripercussioni nell’economia domestica» dei cubani.

In altre parole la crescita vi è stata «ma non per tutti e nemmeno per la maggioranza della popolazione» come afferma un economista mettendo in evidenza come di fatto stia aumentando la forbice sociale a Cuba.

Il problema si pone in modo acuto – tanto da essere oggetto di interventi nel Comitato centrale– a causa dell’aumento dei prezzi di molti generi alimentari agricoli. Anche in questo caso le misure di liberalizzazione hanno comportato l’intervento di privati nella catena di distribuzione, che ha in gran parte sostituito quella dell’ammasso e di prezzi decisi centralmente dal piano.

Così, i prezzi al minuto, anche nei mercati agropecuari statali, sono cresciuti fino a quote difficilmente sostenibili per il comune cittadino, visto che il salario medio, pur aumentato l’anno passato, supera di poco i 25 euro al mese.

Le proteste della popolazione

A causa delle proteste della popolazione (da metà gennaio il prezzo di molti prodotti, come il boniato, la patata dolce, e i pomodori è duplicato), la questione è stata affrontata dai vertici politici, a cominciare dallo stesso presidente Raúl Castro i quali hanno accusato di «speculazione» i venditori al minuto di prodotti agricoli, i cosiddetti carretilleros, perché, non potendo a norma di legge avere banchi fissi, trasportano la mercanzia in carretti che percorrono le strade.

Nelle ultime settimane le autorità hanno proceduto al sequestro di mercanzie a carretilleros che esigevano prezzi ritenuti appunto da speculazione o a camion di privati che portavano, senza licenza, prodotti agricoli all’Avana.

Con la conseguenza che in vari quartieri nelle zone centrali la vendita al minuto è fortemente diminuita, mentre i prezzi nei mercati agropecuari, anche statali e in zone periferiche, non hanno segnalato significativa diminuzione.

Di fatto, il sistema di produzione e distribuzione statale non riesce a fare concorrenza ai privati che offrono prezzi migliori ai contadini e assicurano una distribuzione più efficiente, ma impongono i loro prezzi.

Di fronte a questa situazione il vicepresidente Machado Ventura ha prospettato la possibilità di

ritornare a un controllo statale dei prezzi e della distribuzione.

Una misura questa, che, secondo commentatori indipendenti, costituirebbe un passo indietro nelle riforme e renderebbe più difficile avanzare nelle trattative con gli Stati Uniti.

Roberto LiviL'AVANA -  30.01.2016 il manifesto

 

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